Il nuovo report di Legambiente segnala dati poco rassicuranti per i polmoni degli italiani: sono troppi i centri urbani in cui la qualità atmosferica ottiene un voto insufficiente. Un problema che costa allo stato 60mila morti premature l’anno. Sassari e Macerata le aree più pulite, mentre Como, Milano e Palermo le peggiori.
L’inquinamento atmosferico è un problema complesso. Dipende da molti fattori come le concentrazioni degli inquinanti, le condizioni meteo e climatiche, le caratteristiche urbane, industriali e agricole che caratterizzano ogni singola città e il loro hinterland e, in più, necessita di soluzioni integrate che iniziano a dare risultati, però, solo nel medio e lungo periodo.
È un fenomeno che in Italia causa ogni anno 60mila morti premature: numeri da primato europeo (condiviso con la Germania). E che, ciclicamente, con l’arrivo dell’autunno, torna a far parlare di sé.
Il primo ottobre è infatti il giorno in cui vengono avviate, sul territorio nazionale, le misure e le limitazioni per ridurre le concentrazioni di polveri sottili (Pm10 e Pm 2,5) e biossido di azoto (NO2): gli inquinanti che più impattano sulla qualità della vita in città.
L’associazione Legambiente, alla vigilia dell’entrata in vigore delle misure per la loro riduzione, ha dedicato il report “Mal’aria edizione speciale”, pubblicato il 30 settembre. «I centri urbani sono e saranno sotto la lente di ingrandimento nel prossimo futuro per capire come reagiranno alla nuova sfida che ci è stata imposta, ovvero tutelare la salute e l’ambiente prima di ogni altra cosa. Ma per capire dove vogliamo andare dobbiamo capire da dove partiamo».
Nonostante le automobili e il traffico siano al centro del problema, la sfida dell’inquinamento nei centri urbani non riguarda solo la riduzione del numero di macchine, ma anche l’attivazione di misure strutturali capaci di incidere in settori chiave quali l’agricoltura, il riscaldamento domestico e le industrie.
Il report presenta una “pagella” sulla qualità dell’aria delle città italiane. Basata sugli ultimi 5 anni di dati ufficiali disponibili, riguarda la rilevazione delle polveri sottili e del biossido di azoto nei siti urbani. I dati sono stati confrontati con i limiti suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). «Se la salute – si legge nel documento – deve venire prima di ogni cosa, si deve capire realmente che aria si respira nelle città italiane e che rischi ci sono per la nostra salute».
Le pagelle
Legambiente ha analizzato, di 97 città, i numeri sulle concentrazioni medie annue di tre parametri marker – i più presenti e pericolosi – dell’inquinamento atmosferico (Pm10 e Pm2,5 e NO2) nell’arco temporale 2014-2018 per confrontarli con i rispettivi limiti previsti dall’OMS.
Il risultato? Solo il 15% dei centri urbani ha raggiunto, nei 5 anni, un voto sufficiente. I primi della classe sono Sassari (voto 9), Macerata (voto 8), Enna, Campobasso Catanzaro, Nuoro Verbania, Grosseto e Viterbo (voto 7), L’Aquila, Aosta, Belluno Bolzano, Gorizia e Trapani (voto 6).
Il restante 85%, che non ha superato l’esame, sconta il mancato rispetto negli anni soprattutto del limite suggerito per il Pm2,5 e in molti casi anche per il Pm10. Le cinque città che, in questo senso, si sono comportate peggio (ottenendo voto “0”) sono Como, Milano, Palermo, Roma e Torino: non hanno mai rispettato, nemmeno per uno solo dei parametri, il limite di tutela della salute previsto.
In particolare per le polveri sottili, la stragrande maggioranza delle città ha avuto difficoltà a rispettare i valori limite per la salute: per il Pm10 solo il 20% delle città analizzate ha avuto una concentrazione media annua inferiore a quanto suggerito dall’OMS. Percentuale che scende, ancora di più (toccando il 6%) per il Pm2,5 cioè per le frazioni inquinanti più fini e maggiormente pericolose a causa della facilità con cui possono penetrare nell’apparato respiratorio.
È invece più elevata la percentuale delle città (86%) che è riuscita a rispettare il limite previsto per il biossido di azoto (NO2).
Un problema soprattutto della Pianura Padana
Legambiente ha dedicato un focus alle zone che più soffrono di questo problema. «Per capire come si sono attrezzate le regioni italiane che maggiormente risentono dell’inquinamento atmosferico nel periodo invernale, abbiamo inoltre analizzato le misure e le deroghe che le quattro Regioni dell’area padana (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto) hanno introdotto per provare a ridurre l’inquinamento atmosferico in base alle indicazioni contenute nell’Accordo di Programma per il risanamento dell’aria nel bacino padano».
Ebbene, secondo l’associazione ambientalista, l’esito è riassumibile in una semplice espressione: “poco coraggio”. «È questa la parola che caratterizza le scelte fatte dalle Regioni dell’area padana che hanno preferito rimandare all’anno nuovo il blocco alla circolazione dei mezzi più vecchi e inquinanti Euro4 che sarebbe dovuto scattare dal prossimo primo ottobre nelle città sopra i 30 mila abitanti. Una mancanza di coraggio basata sulla scusa della sicurezza degli spostamenti con i mezzi privati e non pubblici in tempi di Covid, o sulla base della compensazione delle emissioni inquinanti grazie alla strutturazione dello smart working per i dipendenti pubblici. Una misura sicuramente utile e che va nella giusta direzione, quella del lavoro agile, ma che ci saremmo aspettati andasse ad affiancare le misure di blocco del traffico e della circolazione, per poterne poi sommare gli effetti benefici».
Le proposte
Come agire? Legambiente non sembra avere molti dubbi. Oltre a incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici, intervenendo sulla frequenza e sulla qualità del servizio offerto dalle linee metropolitane, secondo l’associazione ambientalista bisogna potenziare la rete della sharing mobility e raddoppiare le piste ciclopedonali. «Siamo convinti infatti che la mobilità elettrica, condivisa, ciclopedonale e multimodale (che concilia, cioè, più mezzi di trasporto come il monopattino e la bici elettrica) è l’unica vera e concreta possibilità per tornare a muoverci più liberi e sicuri dopo la crisi Covid-19, senza trascurare il rilancio economico del Paese».
In Italia – come suggerisce il responsabile scientifico di Legambiente Andrea Minutolo – manca ancora la convinzione di trasformare concretamente il problema in una opportunità. «Opportunità che prevede dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo».
Fonte: www.linkiesta.it