Si scriveva terza pista, si leggeva capannoni: era questa la vera sostanza del master plan per l’ampliamento dello scalo della brughiera, 330 ettari da sottrarre alla foresta del Parco del Ticino per realizzare una grande ‘cargo city’. In pratica una distesa infinita di capannoni per la logistica e il commercio. Ora finalmente ne possiamo parlare al passato, come di un incubo che non si è realizzato a causa delle difficoltà dell’aerostazione ma, soprattutto, dell’iniezione di realismo che la crisi economica ha portato nel mondo della speculazione immobiliare, che resta speculazione anche quando porta la firma di SEA. I dubbi del ministero dell’Ambiente, a seguito delle decine di osservazioni presentate dalle associazioni ambientaliste sulla VIA del progetto, hanno evitato di buttare altri soldi per un’opera sbagliata. Finisce dunque nel cassetto, e speriamo ci resti per sempre, il contestatissimo progetto di ‘master plan’ per l’ampliamento dell’aerostazione internazionale.
“Un progetto faraonico per ampliare un’infrastruttura già nata sovradimensionata e disfunzionale – dichiara Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia – la provincia di Varese ha già dato troppo alla crescita disordinata di urbanizzazione e infrastrutture, basti pensare che il 30% dell’intero territorio provinciale è coperto da urbanizzazioni e che ormai da anni per trovare lo spazio in cui far passare le nuove infrastrutture si è costretti ad intaccare le aree più preziose, quelle coperte da foreste e da aree protette, come è nel caso dell’area in cui si sarebbero dovuti appoggiare le decine di capannoni della cargo-city annessa alla terza pista”.
Legambiente da sempre contesta il gigantismo dell’aerostazione, non solo alla luce dei danni ambientali, ma anche dello strabismo programmatorio con cui in Lombardia si continua a gettare sangue e risorse su un polo aeroportuale che non ha e non potrà mai avere il rango di un grande aeroporto intercontinentale. “Finalmente Sea prende anche atto delle gravi condizioni tecnico/finanziarie in cui versa – dichiara Dario Balotta, responsabile trasporti dell’associazione – Con un aeroporto utilizzato al 40\50%, quindi con enormi capacità inespresse, la terza pista sarebbe stata una ferita inspiegabile al territorio e una spesa ingiustificata. Ma non solo, non sapendo neppure che fine faranno Malpensa e Linate dopo l’accordo Alitalia Ethiad, l’ampliamento dello scalo sarebbe stato un salto nel buio. Adesso è meglio che SEA pensi a un futuro di maggiore efficienza organizzativa, più sviluppo tecnologico, ottimizzazione delle strutture esistenti, magari accettando un confronto più maturo anche con le associazioni ambientaliste”.
Legambiente però ricorda che la terza pista non è l’unica cattedrale con cui si sarebbe voluto riempire il deserto di Malpensa: ci sono anche le esagerate opere di accessibilità, alcune delle quali realizzate, come la semi vuota superstrada Boffalora – Malpensa, e altre in via di realizzazione, come la Pedemontana che certo non avrà sorti migliori, altre che possono essere fermate prima di cominciare a far danni. “Chiarito una volta per tutte quale sia il ruolo e il rango dell’aeroporto di Malpensa, mettiamo subito una pietra sopra al progetto di nuova superstrada Vigevano-Malpensa, di recente ‘ripescato’ da ANAS. Di sicuro i flussi di traffico da Vigevano e dall’Abbiatense non sono tali da giustificare neanche lontanamente un simile scempio nel territorio agricolo più pregiato dal milanese, e non occorre una superstrada per risolvere problemi di viabilità locale come quelli di Abbiategrasso o di Robecco sul Naviglio” conclude Di Simine.
Fonte: Legambiente Lombardia